Se ne è andato......
quel Vanni Pettenella che ancora oggi detiene il record del mondo di surplace e che, dalla sua officina nel quartiere Affori, preparava i bolidi della velocità. Una storia incredibile, quella del Vanni, che vale la pena raccontare, quella del suo record datato 28 luglio 1968.
Il velodromo era quello in cemento e ferro di Varese. L'occasione era una semifinale del campionato italiano di velocità. Il pomeriggio era da canicola brianzola, con le barche ferme in porto per la bonaccia e il pubblico sulle tribune a sventolarsi fogli di Gazzetta sul viso. In gara, il Vanni Pettenella, detto il Pollivendolo volante, natio di Caprino Veronese ma trapiantato nella periferia milanese di Affori, e Sergio Bianchetto, padovano giramondo della pista, una vita di «sei giorni», volate e surplace. Si conoscevano da sempre, i due pistard. Si erano affrontati ovunque: in Australia, in Giappone, a Zurigo, a Milano. Ogni sfida riproduceva un copione mandato a memoria, una storia già vista, la cui prima, leggendaria, era andata in scena a Tokyo durante le Olimpiadi 1964. Allora il Vanni l'aveva spuntata e la medaglia d'oro era andata ad Affori. Sergio Bianchetto si era poi rifatto nel tandem, conquistando la medaglia d'oro in coppia con Angelo Damiano, mentre il Vanni aveva concluso la sua trasferta d'oriente vincendo l'argento anche nel chilometro da fermo. Un trionfo da storia dello sport italiano. Quando, sotto il solleone di luglio, nel velodromo all'aperto di Varese, lo starter dà il segnale d'avvio, le due biciclette si muovono, lente, una di fianco all'altra. Sono tre i giri di pista della velocità, ma non bisogna percorrerli a tutta. Il duello è psicologico. Chi si butta giù dalla parabolica troppo presto, fa solo il gioco dell'avversario. Il quale si mette dietro, sta protetto, fa meno fatica e sul filo di lana arriva più fresco. Ma quella che si sta svolgendo il 28 luglio 1968 non è una semifinale tra due pistard alle prime armi. E' una sfida tra due amici, è la rivincita di una volata olimpica. Fa niente che trenta gradi rimbalzino sul cemento della pista. Fa niente che ci sia il pubblico sulle tribune e la televisione collegata. Il Vanni e il Sergio, i due compagni di stanza di tante trasferte passate tra alberghi e olio canforato, percorrono lentissimamente il primo giro di pista, entrambi assorti nei propri incubi. A Bianchetto quella volata di quattro anni prima non era proprio andata giù. Quante volte aveva pensato, nel rimpianto, al momento in cui aveva preso la decisione di scattare. Troppo presto, il Vanni non l'aveva perdonato. Gli era passato davanti a pochi metri dalla fine e l'aveva bruciato. Era stata una questione di frazioni di secondo. Il tempo di pensare «adesso è il momento di partire» e il momento era già passato. Così, anche a Varese, conclusa la prima tornata, il Sergio decide di giocare tutte le sue carte. E improvvisamente si pianta sui pedali. Il Vanni, per non farsi fregare, si blocca qualche metro sotto. Comincia così la fase del surplace: il pignone è fisso sulla ruota, i cinturini sono stretti sui fermapiedi, la bicicletta, immobile a metà del rettilineo, è piegata sulla ruota davanti, in modo che neanche un refolo possa smuoverla di lì. Il pubblico applaude divertito, mentre Nando Martellini, inviato della Rai, apre la diretta. Descrive il programma della giornata, poi manda in onda la gara. Ma la gara è un fermo immagine. I due atleti, in barba ad ogni regola di bon ton televisivo, sono statue di gesso. Martellini fa qualche intervista e poi la linea ritorna a Roma: «Qui non succede niente, ci risentiamo fra qualche minuto». Ci aveva creduto, il Vanni, dopo la vittoria alle Olimpiadi: aveva creduto di poter svoltare, di racimolare qualche soldo per aprire un'attività. Lui, che il polso degli affari l'aveva ereditato dal padre, un venditore di polli e verdura; lui, che aveva venduto la bicicletta olimpica a Cisco Rodriguez subito dopo la finale vinta con Bianchetto, non era riuscito ad aprire nessuna attività. Non era bastato il premio, un milione di lire, che aveva ricevuto dal Coni e la cinquecento che gli aveva regalato la Fiat. Tornato ad Affori era ripartito daccapo, vagabondando per il mondo, «sei giorni» dopo «sei giorni», da marzo a ottobre in Europa, poi in Australia e Giappone. Tutto l'anno in giro, sempre intorno a una pista. Oppure fermo, come sotto il sole di quell'estate del '68. Frattanto, ecco il secondo collegamento di Martellini e il secondo giro di interviste. Sullo sfondo, sempre fissa, come l'intervallo, l'immagine di Bianchetto e Pettenella: «Ancora fasi di studio per i due campionissimi della pista, il surplace va avanti». E la linea torna a Roma. Aveva grandi idee, Vanni Pettenella. Gli mancavano solo i soldi. Ora, aggrappato al manubrio, con le gocce di sudore che scendevano dal caschetto di cuoio, pensava a come rendere la pista ancora più spettacolare. I telai con i tubi ovali potevano essere maggiormente aerodinamici, le ruote con quattro raggi erano senz'altro più leggere. Applicando un dispositivo all'attacco del manubrio e collegandolo a un coriandolo magnetico sul raggio della ruota il pistard poteva sapere la velocità e il numero di chilometri percorsi. Oppure la durata di un surplace, che, come quel giorno di luglio, dopo una quarantina di minuti mandava su tutte le furie il pubblico. Ma ci volevano i soldi per dare vita alle proprie idee: bisognava continuare a vincere, anche a costo di rimanere fermo in pista. E' così che, a Varese, il rimpianto del Sergio e i sogni del Vanni realizzano un miracolo. Il primo ad accorgersene è lo speaker: «Attenzione, attenzione. Bianchetto e Pettenella hanno appena battuto il record italiano di surplace, 48' 30'', detenuto da Damiano. Ora i due pistard puntano al record del mondo di Maspes. Ma per batterlo devono fare meglio di un'ora». Il pubblico, all'idea di stare assistendo non a una noiosa melina tattica, ma bensì al tentativo di record del mondo, cambia registro. E comincia ad applaudire, gridando a gran voce: «O-ra-o-ra!». Anche Martellini, al terzo collegamento infruttuoso, ora ha qualcosa da descrivere. E comincia a elencare i surplace più lunghi della storia: «Ricordiamo Maspes al Vigorelli nel'55, Beghetto a Zurigo nel '64, ricordiamo Friol: nessuno è riuscito nell'impresa che i due atleti stanno realizzando qui a Varese», e mentre il velodromo comincia a riempirsi di curiosi, il cronometro gira il quadrante dell'ora. E' record. Bianchetto e Pettenella non sentono il boato che li investe per il record raggiunto. Impiantati nel cemento, allo stremo delle forze, con otto litri di sudore colati sulla pista e gli occhi fuori delle orbite, non capiscono più nulla. Aspettano solo che uno dei due ceda allo sforzo, sovrumano, di stare per più di un'ora sopra una bicicletta ferma, rigidi in posizione fetale, sotto il sole. Quando il cronometro segna un'ora, tre minuti e cinque secondi, ecco il colpo di scena. Sergio Bianchetto ha un sussulto, si muove nervosamente. Forse ha deciso di partire, pensa Pettenella, ma non è così. Il Sergio ha finito le energie, e per qualche secondo sbanda di qua e di là, prima di stramazzare al suolo. Rotolando sul cemento passa davanti a Pettenella e finisce così la sua corsa. Sono attimi di paura. E mentre il Vanni lentamente si avvia a vincere, al Sergio non rimane che farsi rianimare con i sali a bordo pista. Sarà fermato dai medici e non potrà risalire sulla bicicletta per la seconda manche. Vincerà il Vanni. Finisce così la sfida finale di una rivalità antica. Non finisce qui l'amicizia tra due campioni. Bianchetto si ritirerà a vita privata a Padova, Pettenella aprirà un'officina e realizzerà le sue idee: la bicicletta aerodinamica, la ruota a quattro raggi, il cronometro da manubrio. Invenzioni che rivoluzioneranno il ciclismo e che saranno copiate dai tedeschi dell'est, dai francesi e dai giapponesi. Tecnici ed esperti giungevano ad Affori da tutto il mondo per parlare con il Vanni e comprare le sue biciclette. Oppure per carpirgli i segreti del mestiere di velocista.
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9 anni fa
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